
Ho parlato troppo, non onorando
né la parola né il silenzio.
Ora, cauto, abbraccio il momento
e, in sogno, nuoto in mezzo a tartarughe
marine, giganti, antiche quanto
il mondo. All’ombra del vulcano
ho ascoltato il mare. Stanco di mugghiare,
gli ho chiesto una tregua. Ha preteso
che affogassi in un silenzio assoluto,
quello di quando si nasce, di quando si muore.
Sono poi tornato tra gli homo sapiens e i gatti.
Ho rovistato gli accadimenti del mio passato recente
e ho sentito la voce di un vecchio saggio
dire che la poesia è un atto.
Così ora cresco all’ombra di alberi folti
di semi piantati secoli fa.
Possa il mio germoglio ricevere
acqua, riparo dalle tempeste, luce
e cure solo apparentemente
superflue da bestiole e passanti.
Dopo il dolore verranno i versi ma versi
nuovi, ariosi come un domani
frizzanti come un colibrì.
Così sarà perché così è scritto.
Aprile non è più il più crudele dei mesi
e neppure novembre. Ogni stagione spunta un fiore
firma del suo travaglio invisibile.
Andrea Verga