
Non conosco gli uomini. Da anni
Li cerco e li sfuggo. Altro non so fare.
Non li capisco? O forse li capisco
Troppo? Meglio che in queste forme
Evidenti, di carne brusca e di osso,
Che si rompono per un non nulla,
Basta sfiorarle con un po’ di passione,
Li capisco morti, nella loro leggenda.
E dai morti torno ai vivi, rinvigorito,
Come un amico solitario, come
Colui che passa dalla sorgente latente
Al fiume che sbocca languido.
Non capisco i fiumi. Con fretta errante passano
Dalla fonte al mare, con ozio febbrile
Sentendosi importanti per i campi e per le fabbriche:
Ma le loro promesse è il mare che le mantiene,
Il mare multiforme, incerto, eterno.
Come sorgente lontana, nel futuro
Dormono le forme possibili della vita
Inesistenti, incoscienti, in un sogno senza sogni,
Pronte a riflettere la idea degli dèi.
E tu tra gli esseri che un giorno saranno
Sogni il tuo sogno, impossibile amico.
Non capisco gli uomini. Eppure qualcosa
Mi dice che ti capirei, come capisco
Gli animali, le foglie e le pietre
Compagni da sempre, silenziosi e fedeli.
Tutto è questione di tempo nella vita
Un tempo lungo e vasto il cui ritmo
Non si accorda con l’altro povero ritmo
Del nostro tempo umano corto e fragile.
Se il tempo degli uomini e il tempo degli dèi
Fossero uno, questa nota che in me inaugura il ritmo,
Ora taciuta senza eco nel muto auditorio,
Risuonerebbe accordandosi in frequenza con la tua.
Non m’importa più di essere uno sconosciuto
Tra questi corpi quasi contemporanei
Vivi diversamente da com’è vivo il mio corpo
Di terra pazza che lotta per essere ala
Per raggiungere quel muro dello spazio
Che separa i miei anni dai tuoi anni futuri.
Solo voglio il mio braccio su un altro braccio amico,
Che altri occhi vedano quello che vedo io.
[…]
Luis Cernuda
Traduzione dallo spagnolo di Andrea Verga